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L'ANELLO DELLA VALLE DELL'AVELLO. IL VOLTO SELVAGGIO DELLA MAJELLA.

26/5/2018

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Bellissimo anello di media quota che percorre vecchie tracce pastorali di cui la montagna sta cercando di riappropriarsi. Per godere dell’imponenza, della maestosità e della wilderness della Majella non è necessario percorrerne i sentieri d’alta quota ma bisogna andare dritti al suo cuore, nei suoi meandri più nascosti e remoti, dove oggi quasi più nessuno va ma che nascondono testimonianze di vita passata di chi, un tempo, la montagna la conosceva nel profondo e la amava veramente.

Dal belvedere del Balzolo a Pennapiedimonte si prende la panoramicissima strada sterrata a servizio dell’acquedotto (sentiero G2) che, attraversate due brevi gallerie scavate nella roccia, in circa quattro chilometri e mezzo raggiunge l’area pic-nic attrezzata del Linaro a quota 946 m (fonte).
Costeggiando il torrente Avello, che in questo tratto forma diverse cascatelle, si prosegue all’ombra della faggeta fino a raggiungere in breve la località Madonna delle Sorgenti, dove termina la carrareccia e dove è posto un manufatto per la captazione delle acque sorgive, una piccola edicola dedicata alla
Madonna e una fontanella. Qualche metro prima della Madonnina si imbocca uno stretto sentierino poco visibile in direzione opposta a quella di arrivo (sulla destra venendo dal Balzolo). In mezzo alla vegetazione si prende progressivamente quota e man mano lo sguardo inizia a spaziare a Est verso le colline e il mare Adriatico oppure, volgendosi indietro, su stupende e massicce balconate calcaree con scorci mozzafiato sulla Valle d’Avello, sul Vallone delle Tre Grotte e sulla Cima delle Murelle. Il sentiero attraversa a mezza costa il versante Sud-Est della Rapina fino ad intercettare un bivio dove si lascia la traccia principale e si inizia a salire a sinistra molto ripidamente fino ad arrivare al cospetto di un’evidente torre calcarea sotto la quale si apre un’enorme cavità che accoglie la grotta pastorale denominata “la Cavaliera” (un complesso di tre stanze non comunicanti, di cui una dalle dimensioni veramente eccezionali, protetto da un alto muro a secco). Ripreso il cammino, si aggira a sinistra la grotta e per erto sentierino si sale sopra lo zoccolo roccioso che contiene la cavità dove si incontra un’altra grotta, protetta anch’essa da un muretto a secco, detta “Grotta piccola della Cavaliera”. Il luogo è spettacolare sia per il panorama che per la sensazione di immensità che trasmette.
Dopo una doverosa sosta si prosegue sul sentiero segnato tra pini mughi e ginepri, traversando in alto un  impluvio segnato da una grande frana. Poco dopo si esce sull’ampia radura dell’Ara dei Preti dove si intercetta il sentiero G1 che collega il rifugio Pomilio con Pennapiedimonte. Si prende ora questo sentiero e lo si segue in discesa, su terreno facile e sempre evidente., In breve tempo si raggiunge il bel rifugio Pischioli (fonte) dal quale con una discesa via via più ripida si prosegue fino al punto di partenza, facendo attenzione ad un tratto esposto e un po’ scivoloso per via del pietrisco in prossimità di una cisterna di accumulo dell’acqua poco sopra il Balzolo.

L’itinerario in breve:
Pennapiedimonte (Balzolo, 705 m) – Strada dell’Acquedotto – Area picnic Linaro (946 m) - Madonna delle Sorgenti (980 m) – Grotta Cavaliera (1.115 m) – Grotta Piccola della Cavaliera (1.170 m) – Ara dei Preti (1.206 m) – Rifugio Pischioli (1.135 m) - Pennapiedimonte (Balzolo, 705 m)
Difficoltà: T (turistico) fino alla Madonna delle Sorgenti (EE, per escursionisti esperti, la visita alla Cascata del Linaro). EE, dalla Madonna delle Sorgenti alla Grotta Cavaliera e al rifugio Pischioli.
Dislivello: 750 m
Tempo di percorrenza: 5h00' - 5h30'

Lunghezza: 13 km circa
Segnaletica: 
bianco-rossa, sentiero G2. Il sentiero che collega la loc. Linaro con la Grotta Cavaliera e l’Ara dei Preti, pur segnalato con vernice biancorossa e con ometti, non è riportato sulle carte escursionistiche. Sentiero G1 dall'Ara dei Preti al Balzolo.

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E' vietata la riproduzione di testi ed immagini senza l'autorizzazione scritta da parte dell'autore.


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LE GOLE DI SAN VENANZIO

18/5/2018

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Tra la pianura agricola della conca Peligna e il Parco Regionale del Sirente-Velino, il fiume Aterno ha scavato nel corso dei millenni un canyon lungo sei chilometri costruendo un suggestivo ed impervio paesaggio incastonato tra le pareti rocciose dei Monti Mentino e Urano ed oggi conosciuto con il nome di Gole di San Venanzio. Alte pareti di roccia calcarea sulle quali hanno trovato il loro habitat ideale l’Aquila Reale, il Falco Lanario, il Falco Pellegrino, l’Astore e lo Sparviere.Autentica “porta di accesso” alle gole è il bellissimo eremo di San Venanzio, risalente al XV secolo, costruito tra le due sponde nel punto più stretto del canyon.
Da sempre frequentato dall’uomo, tra le pareti rocciose delle gole sono state rinvenute in ottimo stato di conservazione pitture rupestri risalenti al periodo del Neolitico (circa 6.000 anni fa). Risalgono invece a circa 2.000 anni fa uno stupendo acquedotto romano, lungo cinque chilometri e scavato interamente nella roccia, e la Rava Tagliata, un’antica via di comunicazione che collegava la Valle Peligna con la Valle Subequana, anch’essa scavata nella roccia e sospesa a precipizio sulle gole.
In prossimità dell’eremo sono presenti i resti di un vecchio mulino ad acqua, preziosa testimonianza di archeologia industriale, di cui sono ben visibili i tre archi in pietra per il passaggio dell’acqua e l’alimentazione delle pale che azionavano le macine all’interno. All’ingresso delle gole, invece, nella sottostante pianura di origine alluvionale, sgorgano le acque sulfuree della sorgente Solfa. In corrispondenza della sorgente, resti di antiche mura attestano una frequentazione del luogo risalente almeno al II secolo a.C.

Dal 1998 questo bellissimo angolo d’Abruzzo ricco di storia e natura è diventato, con legge della Regione Abruzzo, un’area naturale protetta denominata Riserva naturale guidata Gole di San Venanzio, che si estende per 1072 ettari. La sede operativa della Riserva e il suo punto di accoglienza sono situati nella vicina Raiano, paese famoso per la produzione di ciliegie. Oltre alle bellissime chiese e alla torre medievale, nel paese merita una visita il Museo storico “Frantoio Fantasia”, attivo fin dal 1844, anch’esso straordinario elemento di archeologia agricolo-industriale con al suo interno uno splendido torchio pliniano caratterizzato, al centro, da una trave di quercia lunga sei metri. Nella vasca di macinazione campeggia un’enorme ruota in pietra, detta mola del trappeto. Nel trappetus romano troviamo poi l’oliviera, dove venivano stoccate le olive trasportate dai contadini in sacchi di iuta. Il frantoio ospita ogni anno l'iniziativa ''L'olivo racconta: un percorso didattico e gastronomico che attraversa la cultura e l'economia legata alla coltivazione dell'olivo.

Informazioni utili:

Sede della Riserva (ufficio informativo):
67027 Raiano (AQ) - Viale Medaglia d'Oro "G. Di Bartolo", nei pressi del Palazzo Municipale
​Recapito telefonico: 
0864 726058
Indirizzo e-mail: info@golesanvenanzio.it

Eremo di San Venanzio, aperture per la visita al pubblico:
​da Giugno a Settembre il sabato e la domenica dalle 10:30 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 18:00
​Sono previste aperture straordinarie in alcuni particolari giorni dell'anno (25 aprile, Pasqua e Pasquetta, 1° maggio, ecc.)


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I carbonai di Feudo Intramonti

4/5/2018

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C’è un luogo, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, molto poco conosciuto. Mi verrebbe da dire che è normale sia così, trattandosi di una zona dove la protezione della natura è massima e dove, in effetti, è consentito l’accesso solo per motivi di ricerca o di controllo. Si tratta della Riserva Naturale Orientata di Feudo Intramonti – Colle Licco, istituita una quarantina di anni fa per la tutela e il ripristino di determinati equilibri alterati dall’uomo in una zona del Parco di straordinaria importanza vista la sua ubicazione e il suo particolare interesse naturalistico e paesaggistico.
Questi luoghi oggi sono protetti e l'ecosistema viene lasciato alla sua evoluzione naturale e selvaggia, un tempo però le cose non stavano così. Tra la fine dell’800 e la metà del ‘900 questo angolo d’Abruzzo, compreso tra i monti della Camosciara e il Ferroio di Scanno, ha rappresentato la fonte di sostentamento degli abitanti di Villetta Barrea e di Civitella Alfedena che con le loro attività di pascolo, raccolta legna, produzione di carbone e segheria hanno arricchito la cultura e le tradizioni di questi posti.
La riserva ha il suo fulcro nel Casone Crugnale, dal nome della famiglia che vi abitò dal 1878 al 1957, oggi Centro di Educazione Ambientale e sede dell’Unità Territoriale per la biodiversità dei Carabinieri Forestali. Il Centro ha all’interno della struttura un grazioso museo naturalistico e di interpretazione ambientale, con ambienti dedicati a laboratori e a seminari e dove sia i bambini che gli adulti possono interagire attraverso giochi e immagini con la vita del parco.
Di fronte al Centro, attraversata la S.S. 83 Marsicana, il bosco custodisce stralci di vita passata con i resti dell’antica segheria e le carbonaie, ricostruite appositamente per far conoscere quello che fino alla metà del secolo scorso era un lavoro molto diffuso, non solo in questi luoghi, ma su tutte le montagne d’Italia.
​

Il carbonaio era il mestiere che permetteva di trasformare la legna in carbone vegetale.
I carbonai, per esercitare il loro mestiere, dovevano abbandonare il paese dall'inizio della primavera fino ad autunno inoltrato per trasferirsi con la famiglia in montagna, nei boschi dove c'era la legna da tagliare. Le donne, oltre a partecipare alla produzione, badavano ad ogni altra cosa di necessità della famiglia, compreso l'onere di allevare ed educare i figli e quando capitava portare a termine le gravidanze.
In passato il carbone vegetale veniva utilizzato al posto del carbone fossile mentre oggi il carbone vegetale, noto anche come carbonella, è utilizzato esclusivamente per alimentare i barbecue e i forni a legna delle pizzerie.
La carbonaia veniva preparata costruendo una sorta catasta centrale che fungeva da camino principale, alla quale si appoggiavano in verticale piccoli tronchi di legna in modo da formare un cono sempre più grande, fino alla misura voluta, che poteva anche raggiungere i 6-7 metri di diametro e 2-3 metri di altezza, a seconda dell'abilità del carbonaio, della qualità della legna, e della disponibilità di terra per ricoprire il tutto.
Il cumulo di legna veniva ricoperto con foglie e frasche, ed infine con uno strato di circa 10 cm di terra per impedire che la carbonaia prendesse fuoco come una normale catasta di legna. Il mantello di terra, bloccando la normale combustione a fiamma libera, faceva sì che la legna cremasse e si trasformasse in carbone. E' un fenomeno chimico fisico di cui i carbonai non conoscevano gli esatti meccanismi, ma a loro bastava il risultato. L’abilità del carbonaio stava quindi nel riuscire a togliere la quantità corretta di ossigeno al processo di combustione della legna, in modo da evitare da una parte che il fuoco si spegnesse e, dall'altra, che il fuoco prendesse vigore bruciando la catasta di legna.
L'accensione della carbonaia era uno dei segreti del mestiere. Occorreva appiccare il fuoco all'interno, al centro, in modo che si diffondesse uniformemente. L'arte dei carbonai era quella di guidare quel particolare fuoco all'interno di quel cono di legna ricoperto di terra, che fumava come un vulcano.
I carbonai praticavano dei fori di tiraggio affinché il fuoco procedesse nella giusta direzione, ma erano pronti a richiuderli al momento giusto quando il fuoco esagerava o aveva finito la sua funzione.
Per cui la carbonaia andava attentamente sorvegliata, giorno e notte, fino a quando tutta la legna non si fosse trasformata in carbone, stando attenti che il carbone non bruciasse.
Se il terreno si prestava venivano preparate anche due o tre carbonaie e vicino una capanna o baracca in cui si riparavano i carbonai per tutto il tempo necessario all'operazione, che poteva durare anche decine di giorni.
Dopo aver lasciato raffreddare la carbonaia, si procedeva all'asportazione dello strato di terra di copertura e alla raccolta del carbone.

​INFORMAZIONI UTILI:
​La Riserva Naturale Orientata di Feudo Intramonti - Colle Licco è gestita dall'Unità Territoriale per la Biodiversità dei Carabinieri Forestali. Per visitare il Centro di Educazione Ambientale e conoscere gli eventi organizzati è possibile contattare fare riferimento ai seguenti contatti:
​Reparto Carabinieri Biodiversità Castel di Sangro
Tel. 0864-845938
utcb.casteldisangro@forestale.carabinieri.it
​Riserva Naturale Orientata Feudo Intramonti - Colle di Licco
​rno.intramonti@libero.it

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