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La transumanza dei pastori d'Abruzzo

30/6/2015

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La natura prevalentemente montuosa dell’Abruzzo ha favorito, fin dall'antichità, lo sfruttamento pastorale di buona parte dei suoi territori. L'allevamento ovino ha svolto un ruolo determinante per l'economia delle popolazioni abruzzesi lasciando un'impronta duratura su diversi aspetti dello sviluppo storico, sociale e culturale della regione.
La condizione essenziale che favorì lo straordinario sviluppo della pastorizia abruzzese fu il cosiddetto sistema di pastorizia transumante che consisteva nello spostamento stagionale delle greggi fra zone di pascolo complementari che si trovavano le une in montagna, sfruttate nella stagione estiva, e le altre in pianura, ottime per il pascolo invernale. In questo modo si riusciva a garantire alle greggi pascoli abbondanti e clima temperato per tutto l’anno.
E così ogni autunno in Abruzzo, dalla conca aquilana, dalla Marsica e da Pescasseroli, centinaia di uomini e migliaia di pecore muovevano a piedi per centinaia di chilometri verso i pascoli pianeggianti del Tavoliere delle Puglie dove la vegetazione, a differenza dei pascoli montani abruzzesi, raggiungeva il suo massimo rigoglio proprio nella stagione invernale.
La
 transumanza, dalle parole latine “trans” (al di là) e “humus” (terra), come a voler dire “al di là della terra (consueta)”, può essere di due tipi: “verticale" (o alpina) che consiste nello spostamento delle greggi fra l'alta montagna e le vallate sottostanti,  tipica dei Pirenei, delle Alpi e dei Carpazi; o “orizzontale” che, invece, sfrutta alternativamente pascoli situati anche a notevole distanza fra loro e che si è affermata in area mediterranea, in particolare nell'Italia centro-meridionale, nella Francia meridionale, in Spagna e in Grecia. Si può dire che la transumanza abruzzese aveva un po’ tutte e due le caratteristiche perché, allo stesso tempo, sfruttava pascoli montani e pascoli di pianura situati però a notevole distanza fra di loro.

Il tragitto dei transumanti avveniva lungo una rete di larghe vie erbose chiamate “tratturi”. Questi seguivano itinerari fissati dall'uso nei millenni, ma che già a partire dall'epoca romana e con più vigore durante la dominazione aragonese furono rigidamente determinati e protetti da apposite leggi. Esistevano dei tratturi principali ai quali si affiancava tutta una rete di “tratturelli” minori che in essi confluivano. I tratturi principali avevano una larghezza variabile da 55 a 111 metri ed una lunghezza che arrivava fino a 245 km. A servizio di questa immensa rete di tratturi, sorsero nel corso del tempo centinaia di abbeveratoi, chiese rurali, cappelle, taverne, ponti e diversi punti di sosta, i cosiddetti "riposi", strategicamente posti in zone ampie, ombreggiate e ricche d'acqua, adibite al ristoro di greggi e pastori. Nella metà del sedicesimo secolo venne addirittura istituito uno speciale corpo di polizia a cavallo incaricato di garantire la sicurezza dei percorsi. Questo a dimostrazione del ruolo di primo piano assunto in quel periodo dall’”industria” armentizia che aveva nella pastorizia transumante il suo fulcro principale alla quale si integrava perfettamente l’attività commerciale basata sulla commercializzazione dei suoi prodotti primari: latte, formaggio e lana.
I tratturi principali erano tre: il tratturo L’Aquila – Foggia, anche detto il regio tratturo, lungo 244 km, il tratturo Celano – Foggia, lungo 207 km, e il tratturo Pescasseroli – Candela, lungo 211 km.
Il viaggio di spostamento delle greggi lungo questi percorsi durava dai dodici ai ventidue giorni, a seconda della lunghezza del tratturo percorso. Era un viaggio molto duro e faticoso che richiedeva un grande impegno fisico sia per gli uomini che per gli animali. Tutto era organizzato nei minimi particolari e nulla veniva lasciato al caso; ognuno aveva il suo ruolo. E così tra i pastori si distinguevano “i butteri” dai semplici “pecorari”: i primi avevano il compito di preparare i muli e i cavalli per il lungo viaggio, fare e disfare i recinti nelle aree di sosta durante le varie tappe, preparare da mangiare e controllare se tutte le pecore stavano bene o se era necessario caricarne qualcuna sui muli, i secondi, invece, avevano il compito di condurre le greggi durante la transumanza, di contarle alla partenza e, anche più volte al giorno, durante il cammino.
Nel gregge, invece, un ruolo di particolare importanza era affidato al “manzir”, un montone castrato di più di un anno opportunamente scelto e duramente addestrato, che aveva il compito fondamentale di aiutare il pastore andando davanti al gregge e facendo da apri-strada a tutte le pecore che lo seguivano senza difficoltà.
Infine c’erano i cani, che fornivano un altro importantissimo aiuto al pastore. Fra questi si distinguevano: “i cani da guardia”, tipicamente cani di razza Pastore Maremmano Abruzzese, che avevano il compito di proteggere il gregge, soprattutto durante la sosta notturna, e i cosiddetti “toccatori”, tipicamente cani di razza Pastore Belga, che invece avevano il compito di conduzione del bestiame, ossia avevano il compito di far muovere il gregge in modo compatto da una zona all’altra.
Giunti a destinazione dopo tanti giorni di duro cammino greggi e pastori raggiungevano i pascoli loro assegnati e per circa sei mesi venivano ospitati nelle cosiddette “masserie”, grandi aziende agricole che disponevano di stalle per gli animali, alloggi (molto spartani) per i pastori e depositi per l’immagazzinaggio dei prodotti della pastorizia.
Il “rito” della transumanza si è ripetuto per secoli, ogni anno, per due volte all’anno, ma con il passare degli anni l’attività armentizia transumante è andata progressivamente diminuendo fino alla quasi totale estinzione nei giorni nostri.

Al giorno d’oggi in Abruzzo sono sempre meno le persone che decidono di intraprendere questo tipo di lavoro e le piccole realtà allevatrici sono sempre di meno e per lo più concentrate nelle zone di montagna. I pochi allevatori rimasti sono quelli che hanno iniziato tanti anni fa proseguendo l’attività dei propri padri. Stanno invece prendendo sempre più piede le grandi aziende bioagrituristiche le quali allevano anche un gran numero di capi di bestiame ricorrendo quasi esclusivamente alla manodopera straniera. Quindi, attualmente, sono soprattutto questi ultimi che pascolano le greggi e si occupano degli animali.
La transumanza vera e propria, intesa come spostamento delle greggi dai pascoli estivi di montagna a quelli invernali delle pianure pugliesi, non avviene praticamente quasi più, se non esclusivamente ad opera di pochissimi medi/grandi allevatori che, ovviamente, non spostano più le greggi a piedi ma utilizzando grandi e comodi camion.
In tutti gli altri casi la transumanza abruzzese attuale somiglia sempre più ad una transumanza di tipo verticale dove, nella bella stagione, i pochi pastori stranieri che ancora fanno questo mestiere spostano a piedi le greggi in zone di alta montagna. Qui i pastori utilizzano gli stazzi di cui abbiamo parlato all’inizio di questo scritto e vi trascorrono i mesi estivi nella totale solitudine e lontani dalla vita cittadina; soli con le loro pecore e i loro cani.
Ogni giorno, al mattino presto viene fatta la mungitura dopodiché il gregge viene accompagnato al pascolo. Alla sera il gregge torna allo stazzo dove viene fatta una seconda mungitura. Di notte il gregge non viene mai lasciato a pascolare all’aperto ma viene sempre chiuso in un recinto sorvegliato dai cani. In questo modo si riesce ad assicurare al gregge una adeguata protezione scoraggiando la predazione da parte di lupi ed orsi che raramente azzardano una aggressione.


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