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Gli zampognari d'Abruzzo

12/1/2021

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Quando sentiamo parlare degli zampognari l’immagine che ci viene in mente è quella di un vagabondo, musico di piazza, metà pastore metà mendicante, una sorta di pastore errante che contempla i cieli stellati al suono melodico della sua zampogna.
Ma chi erano gli zampognari, questi artisti per lungo tempo ignorati dalla cultura musicale italiana ma al contrario molto considerati e visti con un alone di leggenda da scrittori, poeti, pittori e musicisti stranieri?

La zampogna è uno strumento musicale a fiato caratterizzato da un otre di pelle pieno d’aria nel quale sono inserite alcune canne. Attraverso una di queste canne, detta insufflatore, il musicista immette il fiato dentro l'otre e attraverso la pressione esercitata con l’avambraccio l’aria viene distribuita in modo costante nelle altre canne da dove l’aria fuoriesce emettendo un suono.
L’uso della zampogna era un tempo molto diffuso in tutto l’Abruzzo ed era strettamente legato alla pastorizia e alla cultura pastorale. Le condizioni dei pastori sono sempre state misere ma chi fra di loro aveva un orecchio musicale, anche se analfabeta, apprendeva dal padre o dal nonno l’arte di suonare la zampogna tramandando così di generazione in generazione un repertorio musicale giunto fino ai giorni nostri. Erano gli stessi pastori a costruire i propri strumenti, avvalendosi delle loro capacità di intagliare il legno e lavorare le pelli. D’altronde le loro misere condizioni economiche, che a mala pena ne garantivano la sopravvivenza, non avrebbero mai premesso loro l’acquisto di uno strumento musicale.
I pastori passavano la maggior parte del loro tempo in totale solitudine sui loro monti e la zampogna rappresentava per loro uno strumento di compagnia inseparabile nel mentre trascorrevano le loro giornate nella vigilanza del gregge.
In inverno, quando la neve aveva ricoperto i monti e i prati, i pastori zampognari si spostavano da un paese all’altro suonando le loro zampogne in occasione di feste e mercati per racimolare qualche soldo. Molti di loro, nel periodo natalizio, si spingevano fino alle grandi città come Roma e Napoli per suonare la novena di Natale alla Madonna cogliendo così l’opportunità di integrare le magre entrate con offerte in denaro o in natura.
A metà Ottocento, con il crollo della pastorizia a seguito della soppressione delle leggi che imponevano il pascolo forzato sul Tavoliere delle Puglie, iniziò di fatto il declino delle antiche tradizioni musicali legate alla zampogna, che subirono poi un altro durissimo colpo per effetto delle misure militari di sicurezza e di ordine pubblico successive all’Unità d’Italia e legate al contrasto del brigantaggio. Agli zampognari, infatti, venne vietato l’accesso a Roma, per il rischio che tra di loro potessero nascondersi i briganti.
Entrata in crisi l’economia pastorale Abruzzese, i pastori e gli zampognari furono costretti ad emigrare lasciando i loro paesi. Un vero e proprio esodo, che ha decimato le aree interne.
 
Tra il ‘700 e l’800 molti giovani pittori, scrittori, musicisti, provenienti dall’aristocrazia europea si misero in viaggio verso l’Italia dando vita a quel fenomeno che prese il nome di Gran Tour d’Italia. I viaggiatori del Grand Tour venivano in Italia attratti dalle testimonianze storiche del nostro paese, dall’arte, dai paesaggi e dallo stile di vita, privilegiando soprattutto le più importanti città come Roma, Venezia, Firenze e Napoli. Nei loro soggiorni a Roma questi viaggiatori furono particolarmente incuriositi dai cosiddetti “pifferai” abruzzesi (come venivano chiamati a Roma gli zampognari) e molti di essi ne rimasero talmente affascinati da decidere di avventurarsi verso l’Abruzzo, nonostante in quei tempi la nostra regione venisse dai più descritta come terra aspra, con montagne selvagge e pericolosa per la presenza di briganti.
Tra i tantissimi scritti lasciati da questi viaggiatori per raccontare la loro avventura in Italia, molto bella è la testimonianza del compositore francese Hector Louis Berlioz che, nelle sue memorie di viaggio, parlando degli zampognari scrisse: "Ho notato solamente a Roma una musica strumentale popolare che tendo a definire come un resto dell'antichità: parlo dei pifferari. Si chiamano così i musicisti ambulanti che, in prossimità del Natale, scendono dalle montagne […] e, armati di zampogne e pifferi, eseguono dei pii concerti davanti le immagini della Madonna. Solitamente sono coperti da ampi mantelli di drappo scuro e portano un cappello a punta come quello indossato dai briganti […]. Ho trascorso delle ore intere a contemplarli nelle strade di Roma […] Ho sentito in seguito i pifferari direttamente nelle loro terre e, se li avevo trovati così notevoli a Roma, l'emozione che ho ricevuto fu molto più viva nelle montagne selvagge dell'Abruzzo, dove il mio umore vagabondo mi aveva condotto".
 
Oggi l'impiego della zampogna in ambito rurale (per processioni, rituali, feste e balli) è ancora praticato in Abruzzo. In ambiente urbano la zampogna viene associata immediatamente al Natale, perché ancora oggi nei grandi centri urbani nel periodo natalizio, capita di vedere alcuni zampognari che dalla montagna scendono in città e percorrendo le vie cittadine in abiti tipici suonano con le loro zampogne motivi natalizi tradizionali per ricevere offerte dai passanti. Generalmente gli zampognari suonano in coppia, uno la zampogna vera e propria ed un altro la ciaramella. Probabilmente tutti conoscono “Tu scendi dalle stelle”, il canto natalizio per eccellenza, in pochi però sapranno che l’autore, S. Alfonso Maria de Liguori, scrisse il testo di questa canzone (in realtà una preghiera!) adattandolo alle melodie che facevano parte del repertorio degli zampognari abruzzesi.
 
Ancora oggi lo zampognaro rappresenta una presenza fissa del presepe dove generalmente trova posto nelle immediate vicinanze della "capanna" o "grotta" della Sacra Famiglia.

Bibliografia:
- "Zampognari. Mito dell'Abruzzo pastorale" - Antonio Bini - Edizioni Menabò, 2020
-  "Memoires de Hector Berlioz" - H. Berlioz - Calman-Levy, Paris, 1870
- "The  shepherds of Abruzzi" - The Penny Magazine - 23 marzo 1833


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Monte Brancastello da Vado di Corno

1/8/2020

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Facile e poco faticosa escursione che percorre un crinale molto panoramico che regala uno dei più bei colpi d’occhio sulla spettacolare parete sud-est del Corno Grande e sull’immenso altopiano di Campo Imperatore.
L'itinerario 
coincide con la parte iniziale (la più semplice e priva di difficoltà alpinistiche) del Sentiero del Centenario. Essendo un percorso totalmente di cresta si sconsiglia di effettuarlo nelle giornate di vento forte.
Partendo dal tornante di quota 1.800 m sulla SS17bis in direzione dell'Albergo di Campo Imperatore, si segue a piedi una strada bianca in moderata salita che si dirige verso il crinale e un evidente valico. Raggiunto il valico (Vado di Corno, 1.924 m), il paesaggio cambia improvvisamente e di fronte a noi si staglia la colossale parete sud-est del Corno Grande.
Lasciato il sentiero che dal valico scende verso Casale San Nicola, si prende a destra un altro sentiero che sale sul lungo crinale del “sentiero del centenario”. Si inizia così a percorrere la panoramica cresta, a volte alla sua destra e a volte sul filo. Il sentiero appare come un’evidente striscia scavata nel manto erboso che traversa alternando tratti pianeggianti ad altri in leggera salita. Sulla nostra destra molto bello il colpo d’occhio sull’immensità di Campo Imperatore mentre a sinistra la vista spazia sulle colline teramane fino al mare Adriatico. Superati i 2.000 m di quota, nei mesi di luglio ed agosto, sarà molto facile scorgere alcuni esemplari della rara ed endemica Stella alpina dell’Appennino (Leontopodium nivale) che ci accompagneranno per tutto il resto del nostro percorso.
Pian piano che ci avviciniamo alla nostra meta la pendenza inizia a farsi più significativa ma sempre senza difficoltà tecniche. Superati alcuni modesti risalti del crinale in breve si raggiunge la cima del Monte Brancastello (2.385 m, 2h15’ dalla partenza).
Il ritorno avviene per la stessa via dell’andata (1h30’).
 
L’Itinerario in breve:
Percorso: Tornante SS 17 bis direzione Albergo di Campo Imperatore (quota 1.800 m) – Vado di Corno (1.924 m) – Pizzo San Gabriele (2.215 m) – Monte Brancastello (2.385 m) e ritorno
Difficoltà: E – escursionistica

Dislivello: + 600 m
Durata: 2h00’ – 2h30’ salita, 1h30’ discesa
Lunghezza: 12 km
Impegno fisico: basso
Punto di partenza e accesso stradale: Raggiunto l’altopiano di Campo Imperatore si prosegue in direzione dell’Albergo di Campo Imperatore e della stazione di arrivo della Funivia percorrendo la strada che sfiora il piccolo Laghetto Pietranzoni. Poco oltre il laghetto, subito prima che la strada cominci ad inerpicarsi ripida in direzione dell’albergo, si parcheggia in coincidenza di un tornante che volge verso sinistra (1.800 m) e da cui ha inizio una strada sterrata.
Sentieristica e segnaletica: segnavia bianco-rossi e giallo-rossi. Sentiero n. 106 e n.235 (sono presenti anche vecchi segnavia giallo-rossi n. 6 e 6A)
Cartografia: Carta escursionistica dei sentieri del Gran Sasso d'Italia, scala 1:25.000, realizzata dal CAI Club Alpino Italiano e Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Edizione straordinaria 2009, prodotta da S.E.L.C.A.-Firenze.
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Monte Marcolano dal Passo del Diavolo

27/6/2020

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Escursione che si svolge in una delle zone più importanti del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. Storico luogo di passaggio per i viandanti che si spostavano dalla Marsica all'Alto Sangro, oggi questa porzione di territorio, racchiusa fra le vette del Monte Turchio (1894 m), Monte di Valle Caprara (1998 m), Rocca Genovese (1944 m), Monte Marcolano (1940 m) e Monte Prato Maiuri (1899 m), ospita antiche foreste di faggi, come quella di Selva Moricento dove i patriarchi raggiungono i 500 anni di vita, ed è habitat di riparo ideale per alcune rare specie di animali come l'Orso bruno marsicano, il Lupo Appenninico, il Picchio di Lilford, la Coturnice e la Rosalia Alpina.
 
L’itinerario per il Monte Marcolano prende il via dalla SS83 Marsicana in corrispondenza del Passo del Diavolo che prende il nome dal prospicente monte Morrone del Diavolo. Il percorso è abbastanza lungo ma facile da percorrere e adatto anche a chi non è particolarmente allenato. Parcheggiata l’automobile nei pressi del Rifugio del Diavolo (chiuso) si imbocca una strada sterrata (segnavia T1) che attraversa una zona prativa pianeggiante frequentata da bovini al pascolo libero. In breve si raggiunge una sbarra di chiusura al traffico motorizzato e si prosegue al di là fino ad incontrare un primo bivio a sinistra (segnavia T3) che però si ignora per proseguire dritto. Dopo poco, sempre a sinistra, si incontra un altro bivio (sentiero R4, segnavia un po’ nascosto nell’erba) che si prende abbandonando la carrareccia principale. Si entra così nel bosco e si comincia a salire su una comoda mulattiera che attraversa boschi e belle radure alternando tratti un po’ più ripidi ad altri meno faticosi. Si esce definitivamente dal bosco al cospetto della grande radura di Camposecco con la nostra meta ormai bene in vista in alto a destra. Si attraversa la radura sul suo margine sinistro e, dopo un ultimo tratto più ripido, si raggiunge la sella (1.846 m) tra la Rocca Genovese e il Monte Marcolano da dove si apre un magnifico panorama verso il sottostante bosco della Val Cervara, i Prati d’Angro e gran parte dei monti del Parco. Si continua a salire sul sentiero segnato superando degli spuntoni rocciosi fino a raggiungere un’altra sella (1.898 m) dalla quale il sentiero inizia a scendere verso i Prati d’Angro.
Per raggiungere la vicinissima vetta del Monte Marcolano, dalla sella di quota 1.898 m sarebbe necessario abbandonare il sentiero segnato e proseguire a sinistra su una bella cresta a tratti rocciosa. Il regolamento del Parco, tuttavia, vieta di percorrere quest’ultimo tratto di cresta che conduce alla vetta. Ad ogni modo la vista è magnifica anche dal punto in cui l’itinerario segnato si conclude.
 
ATTENZIONE: nei mesi di agosto e settembre la percorrenza del sentiero R4 potrebbe essere interdetta agli escursionisti per motivi di tutela dell’Orso bruno marsicano. Si raccomanda di informarsi e di rispettare le ordinanze emesse dall'ente Parco.

 
L’itinerario in breve:

Percorso: Passo del Diavolo (1.400 m) – Fosso Perrone – Camposecco – Sella di Camposecco (1.846 m) – Sella del Monte Marcolano (1.898 m) e ritorno
Difficoltà: E (escursionistica)
Dislivello +: 550 m circa
Lunghezza: 16,5 km
Durata: 4h00’ – 4h30’
Impegno fisico: medio
Punto di partenza e accesso stradale: SS83 Marsicana, Passo del Diavolo
Punti di appoggio/ristoro: Ecorifugio Cicerana (gestito in estate, informazioni presso cooperativa Ecotur di Pescasseroli)
Sentieristica e segnaletica: Sentiero T1 – R4, segnaletica bianco-rossa
Cartografia: Carta turistica-escursionistica del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, Edizioni del Parco, anno 2019, scala 1:25.000

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Anello della cascata della Morricana

13/6/2020

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La Laga è il regno delle acque e delle cascate e quasi tutti i suoi itinerari si caratterizzano per un susseguirsi di giochi d’acqua fatti di scivoli, fossi, torrentelli e cascate. L’anello escursionistico della Morricana è uno stupendo itinerario di medio impegno e di grande respiro che permette di immergersi in tutti gli spettacolari ambienti della Laga.
L'itinerario prende il via dalla località il Ceppo e nel suo primo tratto attraversa con una lunga strada sterrata quasi pianeggiante di circa 6 km il Bosco della Martese, sul versante sinistro (destro orografico) del Rio di Valle Castellana. Al termine della carrareccia inizia il sentiero vero e proprio che in circa cinquanta minuti di salita, a volte ripida, raggiunge lo spettacolare salto di circa 40 m della Cascata della Morricana.
Tornati di poco indietro sui propri passi, si intercetta un punto in cui il torrente è meno impetuoso ed è possibile guadarlo, si prosegue quindi con una ripida salita nel bosco fino agli ampi prati degli splendidi Stazzi della Morricana dove i due rami sorgentiferi del Fosso della Morricana danno origine alle Cascate alte della Morricana, visitabili con brevi spostamenti.
Si continua a salire traversando il versante Nord di Pizzo di Moscio in un ambiente maestoso e con splendidi panorami verso la Valle del Fosso di Valle Castellana e i Monti Sibillini. Non sembra di essere in Appennino!
Con un lungo diagonale e su un bellissimo sentiero sospeso sui fossi sottostanti si raggiuge la cresta della Storna (2.032 m). Il panorama a questo punto si apre verso il Gorzano, il Gran Sasso e i Sibillini.
Si comincia quindi a scendere lungo la cresta fino all’ampia sella del Lago dell'Orso  (attenzione! Non cercate il lago perché non c’è!). Seguendo i paletti segnaletici si rientra nella faggeta e in poco tempo si torna al punto di partenza.
 
​
L’itinerario in breve:
 
Percorso: Ceppo (1.364 m) – Bosco Martese – Cascata della Morricana (1.560 m) – Stazzi della Morricana (1.750 m) – Fosso della Morricana - La Storna (2.032 m) – Iacci di Verre - Lago dell’Orso (1.811 m) – Ceppo
Dislivello +: 750 m circa
Difficoltà: E (escursionistica)
Lunghezza:  km 18,00
Durata: 6h00’ – 7h00’
Impegno fisico: medio/alto
Punto di partenza: Località Il Ceppo (1.364  m), frazione del comune di Rocca Santa Maria (TE), che si raggiunge da Teramo in circa 35 km di strada tortuosa. Il sentiero inizia nei pressi del Camping Il Ceppo.
Sentieristica e segnaletica: sentieri n. 333 TA – n. 304 TO/TA – 334 TO/TA – 300 SI, segnaletica bianco-rossa
Cartografia: Monti della Laga, carta dei sentieri, scala 1:25.000, Edizioni SER


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Il Corno Grande dal Ghiacciaio del Calderone

23/5/2020

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Itinerario di gran classe attraverso uno dei luoghi più belli del Gran Sasso e dell’intero Appennino.
La salita è magnifica, varia ed entusiasmante, in un ambiente unico a cui fanno da quinte le verticali pareti del Corno Piccolo e la severa mole delle tre vette del Corno Grande che custodiscono e proteggono il piccolo Ghiacciaio del Calderone. I panorami sono spettacolari, dall’inizio dell’escursione fino alla fine un tripudio di bellezza si srotolerà davanti ai nostri occhi.
L’itinerario non è eccessivamente difficile ma è alpinistico e richiede l’uso di piccozza e ramponi. La difficoltà, però, può aumentare e anche di molto in base alle condizioni della neve. Generalmente questo itinerario viene affrontato a tarda primavera, da metà maggio a fine giugno, quando la conca del Calderone è ancora colma della neve dell’inverno, ben trasformata dal sole e comoda da salire con i ramponi. Al contrario il Calderone è da evitare in pieno inverno, quando è elevato il rischio valanghe, e nel pieno dell’estate, quando la copertura nevosa viene a mancare lasciando il posto a ripidi scivoli di ghiaccio vivo e al detrito morenico, composto anche da blocchi di grandi dimensioni, che spesso precipitano rotolando lungo l’erto pendio e rendendo l’ascensione scomoda e molto pericolosa.
 
Dai Prati di Tivo si prende la strada che dal piazzale sale alla sella di Cima Alta, chiamata anche Piana del Laghetto, dove si parcheggia. Si sale seguendo il sentiero 103 lungo il largo e panoramico crinale dell'Arapietra fino a raggiungere la stazione di arrivo della funivia e la Madonnina (2.007 m, 1h15’).
Se la funivia è in funzione si può arrivare fino a questo punto utilizzando l’impianto di risalita risparmiando 400 m di dislivello e un’ora di cammino.
Dalla seggiovia si sale la cresta verso le balze rocciose del Corno Piccolo che si aggirano alla base sulla sinistra percorrendo il delicato Passo delle Scalette, molto esposto e pericoloso nel caso dovesse essere innevato e ancor peggio se ghiacciato. Generalmente però a fine maggio il passaggio è libero dalla neve.
Si entra così nel Vallone delle Cornacchie, chiuso ai lati dalle verticali pareti dei due Corni e sospeso a valle sulle dolci colline dell'Abruzzo teramano. Si sale sul lato destro del Vallone, a prudente distanza dalla parete est del Corno Piccolo che potrebbe scaricare neve e pietre. Superato il tratto ripido si raggiunge il bordo di una conca tra enormi massi residuo di antiche frane. Si traversa ora il pendio verso sinistra con una lunga diagonale in direzione del rifugio Franchetti situato su di uno sperone roccioso al centro del vallone (1h30’).
Si prosegue ora affrontando il ripido pendio alle spalle del rifugio e rimontando la morena del ghiacciaio con pendenze via via più ripide e su neve spesso gelata di primo mattino. Superato questo tratto si entra nello spettacolare anfiteatro formato dalle tre vette del Corno Grande che racchiude il piccolo Ghiacciaio del Calderone. Tenendosi sulla destra della conca si traversa sotto delle rocce e si risale una strettoia più ripida. Poi la conca si allarga e la pendenza si attenua leggermente per impennarsi nuovamente in prossimità dell’uscita in cresta dove spesso è necessario superare una paretina di neve quasi verticale. Una volta in cresta la si segue facilmente ed in breve si è in vetta ai 2.912 m del Corno Grande (ore 0h45’,3h30’ dalla Sella di Cima Alta). Per il ritorno occorrono 2h30’ fino alla Sella di Cima Alta.
 
 
L’itinerario in breve:
 
Percorso: Sella di Cima Alta (1.630 m) – Arapietra – La Madonnina (2.007 m) – Vallone delle Cornacchie – Rifugio Franchetti (2.433 m) – Ghiacciaio del Calderone (2.680 m) -  Corno Grande vetta ooccidentale (2.912 m) e ritorno
Dislivello: + 1.300 m circa (900 m se si prende la funivia)
Difficoltà: F (alpinistica facile)
Lunghezza:  km 12,00
Durata: 6h00’ – 7h00’ (1h40’ in meno se si utilizza la funivia)
Impegno fisico: alto
Punto di partenza: Raggiunta la località sciistica dei Prati di Tivo (TE), subito dopo l’albergo/ristorante Gran Sasso 3, si prende a sinistra la strada che conduce verso la Sella di Cima Alta o Piana del Laghetto dove si parcheggia.
Sentieristica e segnaletica: sentiero n. 103, segnaletica bianco-rossa sul crinale dell’Arapietra e poco oltre la Madonnina. Non segnato perché su nevaio/ghiacciaio il tratto dal Vallone delle Cornacchie alla vetta del Corno Grande.

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Anello del Monte Mileto

29/2/2020

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Anello classico e non faticoso ad una delle vette secondarie della catena del Morrone. Il Monte Mileto è l’ultima propaggine a sud di questa catena montuosa tanto cara a Celestivo V, il papa del “gran rifiuto”. Nella parte bassa dell’itinerario predomina il bosco di faggio ma in alto si percorrono spettacolari radure e praterie d’alta quota con viste spettacolari a 360° su tutto il massiccio della Majella, sui monti marsicani, sulla catena del Gran Sasso e del Sirente, fino alla costa adriatica.
 
L’itinerario in breve:
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Percorso: Passo San Leonardo (1.280 m) – Iazzo Cappuccio (1.438 m) - Monte Mileto (1.920 m) - Mandra Murata (1.800 m) – rifugio Capoposto (1.755 m) – Iazzo cappuccio - Passo San Leonardo
Dislivello: + 650 m
Difficoltà: E (escursionistica)
Lunghezza:  km 11,5
Tempo di percorrenza: 4h30’ – 5h00’
Impegno fisico: medio
Punto di partenza: Passo San Leonardo, Ristorante-Albergo Celidonio raggiungibile attraverso la SS 487 o da Sant’Eufemia a Majella o da Pacentro
Sentieristica e segnaletica: Sentiero Q3 – Q4 da Passo S. Leonardo alla vetta del M. Mileto. Q6 dal M. Mileto al rifugio Casale Capoposto (primo pezzo non segnato). Q3 dal rif. Capoposto a Passo S. Leonardo. Segnaletica bianco-rossa
Cartografia: Nuova carta escursionistica del Parco Nazionale della Majella, scala 1:25.000, edizioni Dream

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Anello del Voltigno e del Monte Meta

11/1/2020

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Ci troviamo all’estremità meridionale della catena montuosa del Gran Sasso dove, quasi nascosta, la piana del Voltigno si presenta come un’ampia conca carsica circondata da estese e fitte faggete.
Luogo ideale per escursioni in mtb, con gli sci da escursionismo o con le ciaspole.
L’itinerario qui descritto è un bellissimo anello invernale che permette di avere una conoscenza completa della zona. Si parte dalla località “Le scalate” e percorrendo un bel sentiero scavato nella roccia si osservano da vicino i caratteristici “Merletti di Villa Celiera”, particolari guglie rocciose le più spettacolari delle quali sono state soprannominate dagli arrampicatori locali "Cello Torre" e "Cello Fan", una versione burlesca delle più famose ed imponenti guglie patagoniche.
Proseguendo verso il Vado di Focina si entra nell’immensità della piana del Voltigno che nella stagione invernale somiglia molto alle immense steppe siberiane.
Lasciata momentaneamente la piana, ci si addentra nella bella faggeta della “Zingarella” fino ad uscirne nei pressi del “Blevedere” dove il panorama si apre immenso ed improvviso su Campo Imperatore e su tutta la catena meridionale del Gran Sasso, dal Corno Grande al Monte Camicia.
Per un bellissimo e panoramico percorso di cresta si prosegue fino all’aguzza vetta del Monte Meta per salire sulla quale potrebbero essere necessari piccozza e ramponi. Dalla cima il panorama è spettacolare ed abbraccia tutte le principali montagne d’Abruzzo.
Si scende quindi nella Valle della Cornacchia fino a raggiungere l’omonima fonte e rientrare nell’immensa piana dove si va ad ammirare il Lago Sfondo ghiacciato che deve il suo nome ad una leggenda popolare secondo la quale il lago è senza fondo e trasporta le sue acque direttamente nel mare Adriatico! 
 
L’itinerario in breve:
 
Percorso: Villa Celiera, località “Le Scalate” (1.225 m) – Vado di Focina (1.383 m) – Zingarella (1.542 m) – valico del “Belvedere” – Anticima Monte Meta (1.766 m) – Monte Meta(1.784 m) – Valle della Cornacchia - F.te Cornacchia (1.390 m) – Lago Sfondo (1.361 m) – Vado di Focina – Le Scalate
Dislivello: + 700 m circa
Difficoltà: EE (escursione impegnativa con ciaspole, utili piccozza e ramponi per salire al M. Meta).
Lunghezza:  km 15,00
Tempo di percorrenza: 5h30’ – 6h30’
Impegno fisico: medio alto
Punto di partenza: Raggiunto il borgo di Villa Celiera si prosegue seguendo le indicazioni per il Voltigno. Superato un gruppo di case e il ristorante il Fungarolo si prosegue ancora fino ad individuare sulla destra la segnaletica di inizio sentieri
Sentieristica e segnaletica: Sentieri n. 276 e 277 fino al valico del “Belvedere”, segnaletica bianco-rossa. Non segnato ma intuibile il sentiero di cresta per l'anticima e la cima del Monte Meta. La discesa per la Valle della Cornacchia ha inizio dal valico tra il M. Meta e la sua anticima (1.715 m) ed è segnalata con ometti di pietra che potrebbero essere non facilmente visibili in caso di innevamento abbondante.
Cartografia: Carta escursionistica dei sentieri del Gran Sasso d'Italia, scala 1:25.000, realizzata dal CAI Club Alpino Italiano e Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Edizione straordinaria 2009, prodotta da S.E.L.C.A.-Firenze.

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La Città di Pietra e il Paretone

3/1/2020

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Stupendo itinerario che partendo dai Prati di Tivo attraversa il bosco dell’Aschiero, raggiunge la Città di Pietra e l’accogliente rifugio di Cima Alta, per poi percorrere la lunga e panoramica cresta dell’Arapietra fino alla Madonnina del Gran Sasso.
Il bosco dell’Aschiero è una faggeta vetusta caratterizzata dalla presenza di faggi di notevole dimensione. La forte accidentalità del terreno, inoltre, ha creato vuoti tra i singoli individui di faggio così che questi hanno potuto sviluppare una chioma espansa e con un'architettura molto articolata.
All’interno della faggeta sono presenti delle spettacolari formazioni rocciose che in molti conoscono con il nome di “Città di Pietra” o “La Rava”. Il luogo è molto suggestivo, una serie di profondi canyon che si snodano per centinaia di metri. Sulle strapiombanti pareti rocciose sono state attrezzate delle vie di salita per la pratica del Dry Tooling, attività che consiste nello scalare una parete di roccia utilizzando l'attrezzatura da ghiaccio, ossia le piccozze e i ramponi.
Impagabile, infine, il panorama che dalla Sella di Cima Alta e dalla cresta dell’Arapietra si gode su tutto il versante settentrionale ed orientale del Gran Sasso; dai vicini Corno Grande e Corno Piccolo fino alla più lontana parete nord del Monte Camicia. In giornate particolarmente terse è possibile ammirare anche la linea di costa e il mare Adriatico.
 
L’itinerario in breve:
 
Percorso: Prati di Tivo (1.450m) – Città di Pietra – Bosco dell’Aschiero – Rifugio Cima Alta – Sella di Cima Alta (1.650 m) – Arapietra – Madonnina del Gran Sasso (2.007 m) e ritorno
Dislivello: + 600 m circa
Difficoltà: E (escursionistica)
Lunghezza:  km 12,00
Tempo di percorrenza: 4h00’ – 5h00’
Impegno fisico: medio
Punto di partenza: Raggiunta la località sciistica dei Prati di Tivo (TE), subito dopo l’albergo/ristorante Gran Sasso 3, si prende a sinistra la strada che conduce verso la Piana del Laghetto. Percorsi 500 m, sulla destra si nota uno spiazzo con cartello informativo in legno. Qui si parcheggia. Se la strada dovesse essere impraticabile per neve si può partire a piedi direttamente dal piazzale dei Prati di Tivo.
Sentieristica e segnaletica: All’interno del bosco dell’Aschiero ometti di pietra. Dalla Sella di Cima Alta alla Madonnina sentiero n. 103, segnaletica bianco-rossa.
Cartografia: Carta escursionistica dei sentieri del Gran Sasso d'Italia, scala 1:25.000, realizzata dal CAI Club Alpino Italiano e Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Edizione straordinaria 2009, prodotta da S.E.L.C.A.-Firenze.

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Da Passo San Leonardo all'Addiaccio della Chiesa

31/12/2019

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Bellissima e rilassante escursione ai piedi dell’imponente versante occidentale della Majella e delle sue maestose “rave”; ripidissimi canaloni detritici che incidono tutto questo versante della “montagna madre” e quello nord orientale del Morrone e che qui sono appunto conosciuti con il nome di rave.
L’itinerario è consigliato soprattutto in inverno (adattissime le ciaspole) o in autunno, le due stagioni in cui questo angolo di Majella dona il meglio di sé in quanto a panorami e spettacolarità dei paesaggi.
Punto di partenza di questa escursione è Passo San Leonardo, importante valico che mette in comunicazione la Valle Peligna in provincia de L’Aquila con la Valle dell’Orta in provincia di Pescara.
Il sentiero, nella sua prima parte, percorre una larga e rilassante cresta costeggiando un muretto di pietre a secco. Di fronte a noi lo spettacolo della “direttissima” di Monte Amaro, la Rava della Giumenta -bianca, in inverno terreno di gioco privilegiato per gli scialpinisti dell’Italia centrale e non solo.
Nella seconda parte, il sentiero si addentra in una bellissima faggeta e sale un po’ più ripido e a larghe svolte. Usciti dalla faggeta si traversa con dolci saliscendi alle pendici di un’altra spettacolare “rava”, la Rava della Vespa, con panorami che si fanno via via più ampi. In questo tratto dell’itinerario sono visibili grandi cumuli di pietre, ordinatamente accatastati, testimonianza della cosiddetta opera di “spietramento” dei terreni per un loro uso, in tempi ormai passati, a fini agro-pastorali.
Raggiunta la sommità di un colle, si scorge poco più in basso il bellissimo rifugio Addiaccio della Chiesa costruito all'interno di una grotta con il comignolo che sbuca direttamente dal terreno. Alla sua sinistra, poco distante, l'omonima fonte e alle sue spalle i boschi e le balze rocciose ai piedi di un altro spettacolare canalone, la Rava del Ferro. Tutt’intorno affacci panoramici superbi sul Monte Morrone, sulla Valle dell´Orta, sul Gran Sasso fino al più lontano Mare Adriatico.
 
L’itinerario in breve:

Percorso: Passo San Leonardo (1.280 m) – Colle della Croce – F.te della Chiesa – Rifugio Addiaccio della Chiesa (1.550 m)
Dislivello +: 400 m
Difficoltà: E (escursionistica)
Lunghezza:  km 9,5 a/r
Tempo di percorrenza: 3h30’ – 4h00’
Impegno fisico: medio basso
Punto di partenza: Passo San Leonardo, Ristorante-Albergo Celidonio raggiungibile attraverso la SS 487 o da Sant’Eufemia a Majella o da Pacentro
Sentieristica e segnaletica: Sentiero Q1
Segnaletica bianco-rossa
Cartografia: Nuova carta escursionistica Parco Nazionale della Majella, scala 1:25.000, edizioni Dream

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Le miniere di bitume della Majella

24/12/2019

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Ci sono fatti, episodi, luoghi poco conosciuti che il tempo ha portato via alla memoria. Tra questi, c'è una storia che ci parla dei minatori della Majella. Abruzzesi che con sudore e fatica, per oltre cento anni, tra il 1840 e il 1956, senza fare rumore, sotto la montagna, hanno dato una nuova identità a questo bellissimo territorio che non finisce mai di stupire.
Questa storia, oggi, la possiamo leggere tra le rocce bituminose delle tante miniere della Majella tra i territori di San Valentino, Scafa, Manoppello, Lettomanoppello, Abbateggio, e Roccamorice.
Fu un certo Silvestro Petrini, che per primo, nel 1840, fece la scoperta di alcune miniere di asfalto nelle contrade di Manoppello e San  Valentino. Quattro anni più tardi, nel 1844, nacque la prima attività per l’estrazione di bitume e la trasformazione in petrolio.
Partì così questa affascinante storia, la cui data di epilogo è stata messa nel 1956, anno della tragedia di Marcinelle. 
In questi cento e passa anni, sia imprese italiane che straniere investirono in questi luoghi e in queste miniere. A partire dall’ultimo decennio dell’ottocento e fino alla vigilia della prima guerra mondiale, vi fu una forte crescita infrastrutturale del polo minerario della Majella, che vide la costruzione di ferrovie, teleferiche, centrali idroelettriche, grandi stabilimenti per la lavorazione del materiale estratto.
Nel 1917 la Camera di Commercio di Chieti definì la Majella “il gruppo montuoso più ricco di minerali di tutta la parte centrale d’Italia…così da costituire una fonte inesauribile per l’industria alsfaltifero-bituminosa del nostro paese”.
Nelle miniere lavorarono uomini, donne e bambini, ognuno con un loro preciso compito (nel 1930  la storia ci racconta di oltre 1300 persone impiegate nelle miniere). Gli uomini dentro le miniere a scavare, le donne e i bambini a trasportare pietre. Durante la seconda guerra mondiale a lavorare nelle miniere furono messi anche i prigionieri di guerra e ancora oggi, in località Acquafredda di Roccamorice sono visibili i ruderi del campo di prigionia del 1943.
Dopo il 1950, le miniere di bitume e di asfalto furono progressivamente dismesse (anche se ancora produttive) in quanto tali prodotti e derivati venivano ricavati più facilmente dalle lavorazioni dirette del petrolio. 

Biografia:
http://www.valsimi.it/
https://www.tesoridabruzzo.com/segreti-della-majella/

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