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Le Pagliare di Ofena, un viaggio a ritroso nel tempo in un angolo d’Abruzzo sconosciuto.

19/4/2019

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Tra le montagne d’Abruzzo ci sono antichi villaggi contadini d’altura, preziosa testimonianza del passato mondo pastorale e contadino montano. Sono le pagliare, piccoli centri che servivano da ricovero e deposito del fieno (da qui il nome) per i contadini che salivano in quota per coltivare i campi e portare il bestiame al pascolo durante l’estate.
Erano veri e propri paesi agresti in miniatura, fatti di casette di pietra a due piani, sotto il bestiame, sopra il contadino e la sua famiglia, disposte attorno a un’aia comune.
Le pagliare più famose sono quelle di Tione, di Fontecchio e di Fagnano posta ad una quota di 1.000-1.100 m, nel Parco Regionale Sirente-Velino. Queste venivano frequentate nella bella stagione dagli agricoltori e dagli allevatori residenti nei paesi del fondovalle del fiume Aterno. La media valle dell’Aterno, infatti, stretta e ripida com’è, ha sempre offerto poco terreno fertile ai suoi abitanti che, per sopperire a questa carenza, in primavera erano costretti a spostarsi negli altopiani soprastanti per coltivare la terra e far pascolare il bestiame. Una vera e propria migrazione estiva verso la montagna, unica nel suo genere in Abruzzo perché non era finalizzata al solo pascolo del bestiame ma anche e soprattutto alla coltivazione di grano, patate, farro e lenticchie.
Sicuramente meno famose, se non sconosciute, sono invece le Pagliare di Ofena, situate nell’alta Valle del Tirino, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, nel comune di Ofena. Il viallggio, ormai abbandonato da oltre cento anni, è costituito da circa venticinque piccole casette, per lo più a due piani, composte da una stalla al piano terra e un vano al piano superiore che fungeva da camera e cucina, alcune delle quali dotate di grotta sotterranea per la conservazione dei formaggi situate su un colle al cospetto del Monte Serra e delle propaggini meridionali della catena del Gran Sasso.
A differenza delle più conosciute pagliare sopra citate però, quelle di Ofena probabilmente assolvevano ad una funzione diversa da quella tipica dei villaggi d’altura della Valle dell’Aterno. La loro posizione in una zona con microclima temperato, molto adatta alla coltivazione di diversi tipi di colture, nonché la modesta altitudine, suggeriscono un’economia legata più ad attività agricole e pastorali di tipo stanziale. Essendo il villaggio organizzato lungo il percorso del tratturo Magno, molto probabilmente esso veniva utilizzato dai pastori pugliesi durante la transumanza estiva per il ricovero proprio e delle greggi.
Oggi gran parte delle casette sono state recuperate e ristrutturate attraverso il riuso attento delle tecniche e dei materiali dell’epoca. Nel 2008, infatti, grazie all’intuizione e alla buona volontà di due imprenditori pescaresi è stato avviato un progetto di recupero del borgo per il riuso a fini ricettivi basato sul modello di albergo diffuso. Purtroppo però le lungaggini burocratiche e amministrative e lo scarso support da parte delle istituzioni, tipiche del nostro paese, hanno scoraggiato le banche che hanno bloccato i finanziamenti con conseguente interruzione dei lavori giunti a circa il 65% del loro completamento.
Un paio di anni fa, in occasione di un evento sulla pastorizia organizzato dall’Associazione Terre Nostre, i due imprenditori sono tornati ad accendere i riflettori per rilanciare la loro idea di turismo sostenibile nella speranza di reperire nuovi finanziamenti, necessari per il completamento delle opere e il definitivo recupero del borgo.
Ad oggi però è ancora tutto fermo e il borgo è tornato ad essere un villaggio fantasma dove il tempo ha smesso di scorrere, lasciando un eredità di edifici diroccati, stradine deserte e case silenziose immerse nella quiete di un paesaggio quasi spettrale.

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