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Viaggio nel tempo tra le capanne pastorali della Majella

16/12/2015

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​La Majella è una montagna molto amata dagli abruzzesi ed è ricchissima di emergenze naturalistiche, storiche e culturali. Se da un lato molto frequentati ed apprezzati sono i lunghi e panoramici itinerari d’alta quota diretti alle cime del massiccio, dall’altro lato meno conosciute sono le “passeggiate” di bassa quota che partono dai paesi alla scoperta dei preziosi tesori dell’arte, della storia e della cultura dei nostri avi che per secoli hanno frequentato queste montagne.
Tra questi tesori, meritano di essere conosciute le capanne pastorali in pietra a secco (anche dette “tholos” per la loro forma a cupola) vere perle dell’architettura spontanea di un tempo e preziosa testimonianza dell’antico fenomeno della transumanza verticale, o monticazione, che fino ad alcuni decenni fa ha visto il periodico spostamento di animali e persone dalla pianura ai freschi pascoli in quota.
Nelle zone montane di pascolo prive di grotte o ricoveri naturali i pastori erano costretti a costruirsi da soli i rifugi per il riparo, la caseificazione e la rimessa degli attrezzi. Quelli costruiti in pietra sono il tipo di ricovero ad uso pastorale e agricolo più comune sulla Majella. I materiali da costruzione venivano raccolti direttamente sul posto.
Queste capanne sono state utilizzate sino a tempi relativamente recenti. La tecnica costruttiva di queste strutture pare abbia un’origine antichissima, risalente all'antica Grecia e ancora prima alla cultura fenicia ed è pervenuta in Abruzzo probabilmente dalla Puglia. Le prime capanne pastorali abruzzesi risalirebbero a circa 200-300 anni fa e risulta che gli ultimi esemplari di questa tipologia siano stati realizzati negli anni 50 del secolo scorso e che gli abili artigiani, ancora in vita fino a qualche anno fa, fossero pagati, come da tradizione, con forme di formaggio.
Le capanne potevano essere molto articolate e complesse oppure estremamente semplici  sia nell’aspetto esterno che negli ambienti interni, e questo dipendeva sia dall’uso che se ne faceva sia dell’esperienza e dall’abilità di chi le costruiva. Nella costruzione del “tetto” si utilizzava la tecnica della “falsa cupola” che evitava l’uso delle travi in legno per il sostegno della copertura. Le pietre riuscivano a stare su grazie alla loro particolare disposizione in cerchi concentrici. Questa tecnica è stata utilizzata per secoli ed è la stessa che ritroviamo nei trulli pugliesi oppure nei nuraghi sardi. La falsa cupola caratterizza le capanne dette “a Tholos”, termine che oggi viene solitamente ma erroneamente utilizzato come sinonimo di “capanna in pietra a secco”. Esso infatti ne rappresenta solo una tecnica costruttiva.  
Le capanne possono essere costruzioni isolate oppure essere  raggruppate in complessi più strutturati. Questi ultimi sono costituiti da più capanne incluse nelle mura di un alto recinto in pietra. I complessi pastorali rappresentavano delle vere e proprie masserie stagionali.
Purtroppo con l’abbandono dei pascoli e dei campi è iniziato il lento degrado di tutte le strutture in pietra a secco a causa del venir meno della necessaria manutenzione a cui esse erano sottoposte e questo, con il trascorrere del tempo, rischia di farci perdere un patrimonio storico-culturale unico e di inimitabile bellezza.
I complessi pastorali più belli e meglio conservati della Majella sono:
  • Il complesso di Colle della Civita, a quota 1.100 m circa nel territorio di Roccamorice (PE), lungo la strada che collega quest’ultimo a Fonte Tettone/Mammarosa;
  • Il complesso de La Valletta, a quota 1.200 m circa nel territorio di Lettomanoppello (PE), raggiungibile in circa mezzora dalla località Passo Lanciano.

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